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Lungo lago, zona Caduti del mare dove, da un anno, si è formata una piccola spiaggia che l’acqua non è ancora riuscita a riprendersi.
Osservo il lago appoggiato alla ringhiera, di fianco alla scala. Cerco un po’ di relax.
Una ragazza mi passa da parte, scende fino alla sabbia, pantaloni che si notano e cappello.
Guarda anche lei il lago per pochi secondi, poi dal sacchetto che ha in mano tira fuori un arnese con le pinze, si gira verso il Gerenzone. Inizia a raccogliere la sporcizia.
Sacchettini, mozziconi, solleva uno straccio. Lo guarda da un lato e dall’altro, è troppo grande per il sacchetto, il bastone si piega in due per il peso. Non è un attrezzo professionale. Non è stata mandata dal comune.
Lo raddrizza, prosegue.
Cartacce, una bottiglietta schiacciata e un paio di pezzi di vetro. Va avanti così. In venti minuti, poco alla volta, si allontana fino a scomparire dietro la curva del San Nicolò, che la osserva curioso.
Sorrido e penso che è proprio un bel gesto. Una spiaggia praticamente nuova di zecca, meno di un anno di vita, teatro di un asimmetrico duello: da una parte chi l’ha sporcata e dall’altra una giovane che il venerdì pomeriggio, alle due e mezza viene a ripulirla. Mi viene da pensare che lavori per il bar dall’altra parte della strada e che stia sia rimediando alla serata precedente, preparando per quella che sta arrivando. Ma non sono convinto del tutto, se così fosse non avrebbe badato anche ai mozziconi. Non c’è lotta contro i mozziconi, ma lei non ha mollato.
Riparto, riprendo il mio giro.
Lungolago, via Roma, piazze varie, vetrina di Cappa e Tuba, una delle ultime certezze storiche di questa città. Ogni volta lo ritrovo al suo posto. Il negozio è ancora lì, sempre lì, da quando avevo otto anni.
Finisco di studiare la vetrina, mi giro e dopo pochi passi la incrocio.
Pantaloni che si notano, cappello. È lei. Allora non lavora nel bar.
Sono curioso. La fermo un istante.
«Perdona la domanda. Tu sei di Lecco?»
«No.»
No… penso. Semplicemente no.
Le spiego che l’avevo vista mentre si dedicava alla spiaggetta, che ero curioso di sapere se fosse stata una lecchese a occuparsi di un angolino magico come quello.
Ma no.
«È un peccato che la sporchino» mi dice. «È così bella.»
«Scusa se ti ho fermato» concludo, «volevo solo dirti grazie perché io a Lecco ci passo le mie giornate da sempre.»
Come altri 40000 lecchesi, aggiunge la mia mente intromettendosi.
Lei, forse colta un po’ di sorpresa, ringrazia mentre arrossisce sotto il cerone, si vede bene. Sicuramente non se lo aspettava.
«È proprio un peccato» ripete con voce più flebile, sinceramente dispiaciuta, mentre riprendiamo ognuno la propria strada.
Venti minuti a guardare e due minuti a parlare. Un piccolo lasso di tempo che mi rimane dentro, insieme alle poche parole dette, a qualche pensiero e a una certezza che negli anni ho coltivato, perché ne faccio parte anch’io.
Chi ci abita, in questo posto, non lo sa apprezzare come merita. Anche chi cerca di farlo non è capace di soffermarsi sui dettagli dei suoi angoli.
È difficile, quando la tua città è scontata, guardare una piccola spiaggia com l’importanza che invece ha quando “non ci sei abituato”.
Perché una spiaggia, in quel punto, non serve a niente quando sei di Lecco. Io stesso mi trovavo lì semplicemente per guardare il lago, per riflettere sul mio mondo. Non facevo caso alla spiaggia,men che meno alla piccola sporcizia. Tanto non ci avrei messo piede nemmeno con le scarpe. Non è una spiaggia, è solo il lago basso.
Ha dovuto arrivare una ragazza da non so dove, per far sì che me accorgessi. Una giovane persona con il suo sacchetto+pinzette che – poi mi sono ricordato – ho visto più volte, passandogli davanti, sugli scaffali di Tiger all’impossibile cifra di due euro.
Una piccola attrezzatura che, mi è piaciuto pensare, probabilmente questa ragazza venuta da fuori aveva appena comprato scendendo da via Cavour, proprio per venire a ripulire quel piccolo, nuovo, angolo azzurro di questa strana città, nella quale i lecchesi come me stanno a guardare, con i loro due euro in tasca.
Non so se ho ragione, se è venuta apposta, se è passata a comprare la pinza. Magari è solo una mia poetica fantasia.
Ma certo è che dopo quaranta minuti, più o meno, era già ripartita, proprio perché l’ho incontrata fuori dal Cappa e tuba.
Non se l’è nemmeno goduto il posto che ha ripulito. Probabilmente lo ha fatto perché altri potessero apprezzarlo come lei.
O perché va fatto e basta. Perché Lecco non è un gioiello minore rispetto ad altri paesi del Lario che celebrano la bellezza facendo anche la polvere alle statue.
È una città strana. Unica da questo punto di vista: insegna tanto a chi è di Lecco, grazie a chi invece non lo è.
Ma forse è anche la sua caratteristica migliore.
Piccole storie, fotografie di momenti,situazioni quotidiane che hanno colpito, fatto ragionare, o anche solo scavato nel profondo degli autori RAWLINE.
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Lungo lago, zona Caduti del mare dove, da un anno, si è formata una piccola spiaggia che l’acqua non è ancora riuscita a riprendersi.
Osservo il lago appoggiato alla ringhiera, di fianco alla scala. Cerco un po’ di relax.
Una ragazza mi passa da parte, scende fino alla sabbia, pantaloni che si notano e cappello.
Guarda anche lei il lago per pochi secondi, poi dal sacchetto che ha in mano tira fuori un arnese con le pinze, si gira verso il Gerenzone. Inizia a raccogliere la sporcizia.
Sacchettini, mozziconi, solleva uno straccio. Lo guarda da un lato e dall’altro, è troppo grande per il sacchetto, il bastone si piega in due per il peso. Non è un attrezzo professionale. Non è stata mandata dal comune.
Lo raddrizza, prosegue.
Cartacce, una bottiglietta schiacciata e un paio di pezzi di vetro. Va avanti così. In venti minuti, poco alla volta, si allontana fino a scomparire dietro la curva del San Nicolò, che la osserva curioso.
Sorrido e penso che è proprio un bel gesto. Una spiaggia praticamente nuova di zecca, meno di un anno di vita, teatro di un asimmetrico duello: da una parte chi l’ha sporcata e dall’altra una giovane che il venerdì pomeriggio, alle due e mezza viene a ripulirla. Mi viene da pensare che lavori per il bar dall’altra parte della strada e che stia sia rimediando alla serata precedente, preparando per quella che sta arrivando. Ma non sono convinto del tutto, se così fosse non avrebbe badato anche ai mozziconi. Non c’è lotta contro i mozziconi, ma lei non ha mollato.
Riparto, riprendo il mio giro.
Lungolago, via Roma, piazze varie, vetrina di Cappa e Tuba, una delle ultime certezze storiche di questa città. Ogni volta lo ritrovo al suo posto. Il negozio è ancora lì, sempre lì, da quando avevo otto anni.
Finisco di studiare la vetrina, mi giro e dopo pochi passi la incrocio.
Pantaloni che si notano, cappello. È lei. Allora non lavora nel bar.
Sono curioso. La fermo un istante.
«Perdona la domanda. Tu sei di Lecco?»
«No.»
No… penso. Semplicemente no.
Le spiego che l’avevo vista mentre si dedicava alla spiaggetta, che ero curioso di sapere se fosse stata una lecchese a occuparsi di un angolino magico come quello.
Ma no.
«È un peccato che la sporchino» mi dice. «È così bella.»
«Scusa se ti ho fermato» concludo, «volevo solo dirti grazie perché io a Lecco ci passo le mie giornate da sempre.»
Come altri 40000 lecchesi, aggiunge la mia mente intromettendosi.
Lei, forse colta un po’ di sorpresa, ringrazia mentre arrossisce sotto il cerone, si vede bene. Sicuramente non se lo aspettava.
«È proprio un peccato» ripete con voce più flebile, sinceramente dispiaciuta, mentre riprendiamo ognuno la propria strada.
Venti minuti a guardare e due minuti a parlare. Un piccolo lasso di tempo che mi rimane dentro, insieme alle poche parole dette, a qualche pensiero e a una certezza che negli anni ho coltivato, perché ne faccio parte anch’io.
Chi ci abita, in questo posto, non lo sa apprezzare come merita. Anche chi cerca di farlo non è capace di soffermarsi sui dettagli dei suoi angoli.
È difficile, quando la tua città è scontata, guardare una piccola spiaggia com l’importanza che invece ha quando “non ci sei abituato”.
Perché una spiaggia, in quel punto, non serve a niente quando sei di Lecco. Io stesso mi trovavo lì semplicemente per guardare il lago, per riflettere sul mio mondo. Non facevo caso alla spiaggia,men che meno alla piccola sporcizia. Tanto non ci avrei messo piede nemmeno con le scarpe. Non è una spiaggia, è solo il lago basso.
Ha dovuto arrivare una ragazza da non so dove, per far sì che me accorgessi. Una giovane persona con il suo sacchetto+pinzette che – poi mi sono ricordato – ho visto più volte, passandogli davanti, sugli scaffali di Tiger all’impossibile cifra di due euro.
Una piccola attrezzatura che, mi è piaciuto pensare, probabilmente questa ragazza venuta da fuori aveva appena comprato scendendo da via Cavour, proprio per venire a ripulire quel piccolo, nuovo, angolo azzurro di questa strana città, nella quale i lecchesi come me stanno a guardare, con i loro due euro in tasca.
Non so se ho ragione, se è venuta apposta, se è passata a comprare la pinza. Magari è solo una mia poetica fantasia.
Ma certo è che dopo quaranta minuti, più o meno, era già ripartita, proprio perché l’ho incontrata fuori dal Cappa e tuba.
Non se l’è nemmeno goduto il posto che ha ripulito. Probabilmente lo ha fatto perché altri potessero apprezzarlo come lei.
O perché va fatto e basta. Perché Lecco non è un gioiello minore rispetto ad altri paesi del Lario che celebrano la bellezza facendo anche la polvere alle statue.
È una città strana. Unica da questo punto di vista: insegna tanto a chi è di Lecco, grazie a chi invece non lo è.
Ma forse è anche la sua caratteristica migliore.